Nella teologia cattolica “La verità rivelata” da Dio e, come tale, proposta dalla Chiesa, perché sia da tutti accettata: in quanto verità soprannaturale.
Non so se Vivian Maier avesse qualcosa di soprannaturale, forse si, forse no, ma io penso di si, altrimenti non riuscirei a spiegarmi come il suo innegabile talento emerso in modo fortuito e prorompente in coincidenza della sua morte, sia rimasto sconosciuto perfino a lei, anche se questo è solo in parte vero; la scelta del soggetto, la sofisticata composizione, rivelano che Vivian Maier “vedeva” realmente le fotografie che realizzava, raffinatissima osservatrice, aveva l'occhio inquieto di una donna che traeva piacere dalla fotografia, un occhio inquieto ma curioso e attento, un occhio alla ricerca di quell'autentica umanità nella realtà che la circondava.
Migliaia i negativi, migliaia le sue foto, centinaia e centinaia di rullini da lei mai sviluppati, fotografava e non sviluppava, o comunque per lunghi periodi non lo ha fatto, forse il motivo era economico, Vivian non era abbiente, passava di famiglia in famiglia come bambinaia, ma più verosimilmente Vivian Maier voleva essere l'unica custode della sua "verità rilevata", quella verità che solo i suoi occhi erano in grado di scrutare e proteggere. La cosa certa è che le foto da lei stampate non le mostrava a nessuno, e nessuno poteva immaginare quale genialità si nascondesse dietro quella figura introversa e misteriosa, certo i conoscenti e i vicini sapevano della sua passione quasi morbosa verso la fotografia, aveva sempre con se la sua macchina fotografica e scattava in continuazione, tanto che qualcuno sospettava che fosse addirittura una spia, ma nessuno aveva intuito che da li a qualche anno le fotografie di quella che per tutti era solo una eccentrica bambinaia dal carattere schivo e solitario sarebbero state esposte nelle più importanti gallerie e mostre del mondo, e che oggi Vivan Maier è fonte d'ispirazione e punto di riferimento per la street-photography.
E Vivian? L’avrebbe gradita tutta questa notorietà? Ne sarebbe più compiaciuta o più infastidita? Non ne abbiamo la certezza, ma è probabile che sarebbe sorpresa di tutto questo clamore attorno al suo nome, ma soprattutto lo vivrebbe come un’ingerenza, quasi una molestia, è presumibile che come allora anche oggi le sue foto debbano rimanere solo ed esclusivamente nella sua macchina, nei suoi rullini, Vivian Maier ci ha suggerito che il piacere della fotografia sta nello scatto, forse ancor prima nella testa, nella nostra testa, ed è lì che dovrebbe rimanere, è lì che andrebbe custodita e non "rilevata", perché allora condividere? Nell’era social, la condivisione è un dogma irrinunciabile per tutti, ma non per Vivian Maier, che snobberebbe quasi sicuramente i vari Instagram e Facebook, li guarderebbe con sospetto e diffidenza; è molto più plausibile immaginarla ancora a bordo strada, magari nella "Fifth Avenue" di New York con la sua Rolleiflex, pronta a catturare la strada; un’accigliata donna di mezza età, con una giacca di una misura più grande e il suo inconfondibile cappello, pronta a farci vedere questo martoriato mondo attraverso i suoi occhi, senza però svelarlo a nessuno.
Io non so scrivere, probabilmente non so nemmeno fotografare, ma con il linguaggio della fotografia mi sento più a mio agio, lascio quindi la parola alle immagini (poche), fotografie scattate nelle mie visite alle mostre di Pavia e Torino, dove ho potuto toccare con mano "La verità rilevata" di Vivian Maier.
La mitica RollieFlex e l'inseparabile cappello di Vivian Maier
La Leica di Vivian Maier